lunedì 22 aprile 2013

Giochi di potere


Lo sgambetto si ripete

Napolitano contro Rodotà, nel 1992
— POLITICA

Napolitano contro Rodotà, nel 1992

In gioco c'era la presidenza della Camera: vinse Napolitano, Rodotà venne fatto fuori dal suo stesso partito e non la prese bene


Qualcosa di simile è accaduto nuovamente ieri, con il confronto durante l’elezione per il Presidente della Repubblica, di nuovo, tra Giorgio Napolitano e Stefano Rodotà. Come ieri, anche allora a Rodotà è mancato l’appoggio del suo partito – in un certo senso – naturale: il PDS e poi il PD, ma ha ottenuto invece quello di altre forze: all’epoca Rifondazione e Verdi, ieri il Movimento 5 Stelle – ma fuori da Montecitorio la piazza era comunque piena di bandiere di Rifondazione. Lo scontro fu simile anche perché avvenne al tramonto della cosiddetta “prima Repubblica” – fu la legislatura in cui scoppiò Tangentopoli e l’ultima prima dell’entrata in politica di Silvio Berlusconi – come oggi molti sostengono che sia arrivata la fine della seconda.
Le elezioni del 1992, quelle subito precedenti allo scontro tra Napolitano e Rodotà, furono elezioni storiche. Per la prima volta non si presentava più il PCI che si era scisso in PDS e Rifondazione Comunista. La Lega Nord, che si presentava per la prima volta alle elezioni politiche, prese più di 3 milioni di voti e ottenne 80 seggi  tra Camera e Senato. La Democrazia Cristiana ottenne il suo risultato peggiore di sempre e il Partito Socialista Italiano subì la prima flessione nel suo consenso dal 1979.
Il primo atto del nuovo parlamento fu l’elezione di Oscar Luigi Scalfaro a Presidente della Repubblica: un’elezione travagliata, per cui furono necessari 16 scrutini. Il giorno prima della sua elezione venne assassinato Giovanni Falcone: dopo la strage di Capaci quasi tutte le forze politiche, con l’eccezione di Rifondazione Comunista e della Lega Nord, si accordarono per eleggere Scalfaro, democristiano, allora presidente della Camera. La sua elezione aprì un clima favorevole a un’entrata del PDS in un governo DC e PSI.
Com’era tradizione nella prima Repubblica – tradizione che si è persa negli ultimi anni – la maggioranza DC-PSI lasciò all’opposizione l’elezione del presidente di una delle due camere, in questo caso quella dei deputati. Per le prime due votazioni il candidato ufficiale del PDS fu Rodotà, a cui Scalfaro aveva appena lasciato la presidenza della Camera. Al primo scrutinio prese 158 voti su 554. Il secondo andò ancora peggio: 147 voti. Secondo i giornali dell’epoca, mentre riceveva i voti di Rifondazione e dei Verdi, Rodotà era preso di mira da molti “franchi tiratori” del suo stesso partito e, soprattutto, le forze della maggioranza non sembravano disponibili a votarlo.
Dopo l’insuccesso del 2 giugno il PDS, scrissero i giornali, cominciò a temere che stesse venendo meno la disponibilità dei partiti di maggioranza a votare un candidato del PDS. Il segretario del partito, Achille Occhetto, disse che «i principali gruppi parlamentari hanno dichiarato la loro disponibilità a prendere in considerazione una candidatura del Pds» e che invitavano il PDS «a non protrarre oltre l’ elezione, per mettere il presidente della Repubblica nelle condizioni di poter aprire le consultazioni».
Nel corso del 2 giugno il PDS votò per due volte scheda bianca, lasciando a Rodotà soltanto i voti di Rifondazione Comunista, dei Verdi e di alcuni altri partiti minori. La sera di quel giorno, il gruppo parlamentare si riunì per decidere una nuova candidatura. Su 107 membri del gruppo parlamentare, solo 22 si astennero e venne scelto Giorgio Napolitano, moderato, aperto al dialogo con i socialisti di Craxi e leader della corrente dei “miglioristi” all’epoca del PCI. Questa fu la notizia, a pagina 3 della Stampa del 3 giugno 1992.
Rodotà fu molto critico nei confronti del suo partito.  In un comunicato diffuso dopo la riunione che aveva deciso per la candidatura di Napolitano scrisse: «Una piccola schiera di imbecilli ha ridotto tutto a una fame di poltrone che, se fosse esistita, molti erano pronti a saziare con ragguardevoli bocconi». Poco dopo si dimise da presidente del partito e dalla vicepresidenza della Camera. Il giorno dopo, il 3 giugno, Giorgio Napolitano venne eletto con 360 voti che includevano quelli del PDS, della DC e del Partito Socialista.
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sabato 13 aprile 2013

i dieci più votati del M5S


I 10 nomi per il Quirinale del M5S


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Il MoVimento 5 Stelle ha indicato i suoi nomi per il Quirinale nella giornata di ieri. Avevano diritto al voto 48.282 persone iscritte al M5S al 31 dicembre 2012 con documenti digitalizzati. I dieci candidati scelti sono, in ordine alfabetico:
- Bonino Emma
- Caselli Gian Carlo
- Fo Dario
- Gabanelli Milena Jola
- Grillo Giuseppe Piero detto Beppe
- Imposimato Ferdinando
- Prodi Romano
- Rodotà Stefano
- Strada Luigi detto Gino
- Zagrebelsky Gustavo
Lunedì 15 gli iscritti al M5S potranno votare tra questi nomi il candidato per il Quirinale che sarà proposto in aula dai suoi parlamentari.
Anche ieri sono stati effettuati numerosi attacchi al sito, così come nel giorno precedente, ma non è stato possibile alterare la validità dei voti.
Quasi 50.000 persone hanno potuto esprimere democraticamente, senza chiedere un euro a nessuno, la loro preferenza per il Capo dello Stato. Nel frattempo la coppia Bed & Breakfast Berlusconi e Bersani decideva in segreto il presidente dell'inciucio per salvaguardare entrambi, un atto antidemocratico e ributtante.
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sabato 6 aprile 2013

miliardi di euro


I NOSTRI POLITICI DICONO CHE NON CI SONO I SOLDI PER PAGARE LE IMPRESE E, PER TROVARLI CHIEDONO A NOI CITTADINI ANCORA SACRIFICI.MA I SOLDI SI POSSONO TROVARE,BASTA NON FAR CADERE NELL'OBLIO CERTE NOTIZIE.FATE GIRARE

QUEI 98 MILIARDI DIMENTICATI


Una sentenza mette a rischio la penale dovuta dalle concessionarie delle slot machine allo Stato. I partiti chiudono un occhio e difendono gli interessi di pochi

Pochi giorni fa il Consiglio di Stato ha diramato una sentenza che è passata quasi inosservata. Una delle tantissime sentenze della giustizia amministrativa. Questa volta, però, parliamo di una sentenza che potrebbe avere degli effetti pesantissimi perché potrebbe aprire la strada a cancellare i 98 miliardi di euro di penale che le concessionarie delle slot machine devono allo Stato. Una sentenza che potrebbe essere il primo mattone per costruire un muro che evita agli italiani di rientrare in possesso di questa fortuna. 


A nessuno di noi sfugge il fatto che lo Stato giustamente cerca di risanare i conti, e lo fa tagliando alcuni servizi sociali, sanitari. In questo senso 98 miliardi di euro sarebbero una cifra importante. Invece si rischia di finire a non pretendere nulla, o quasi nulla, forse una cifra simbolica dalle società concessionarie delle slot machine. Società che per anni hanno vissuto, forse neanche per colpa loro, in mancanza di regole totali, consentito dai potentissimi appoggi politici che queste società vantano.

Partiamo dall'inizio, ricordiamoci come è cominciata questa storia. Era il 2005/2006 quando Alfiero Grandi, uno dei politici che bisognerebbe recuperare e che merita un riconoscimento da parte nostra, insieme con altre persone e con il dipartimento della Guardia di Finanza contro le frodi informatiche, prepararono alcuni rapporti. Uno di questi finì sulla scrivania del Ministro Visco, e in questo si diceva che lo Stato stava perdendo come un colabrodo decine di miliardi di penali non pagate. ...

Ma i Monopoli, essendo vicini all'Alleanza Nazionale in quel periodo, vedevano altre figure che magari si sono occupate marginalmente (o non si sono occupate) di questa vicenda come la sorella di Gianni Alemanno. C'erano soggetti forti in questa storia, proprio come Giorgio Tino, nipote di un notissimo esponente politico che è Antonio Maccanico, figura poco nota ma potentissima che ha amministrato per anni tra i monopoli dei giochi, ha amministrato somme di miliardi di Euro senza che nessuno di noi sapesse chi era Giorgio Tino.
Ma anche i partiti di centro-sinistra non hanno fatto molto di più. Anzi. Ricordiamoci che il centro-sinistra nella vicenda dei giochi in generale ha molto di cui perire. Per esempio nella vicenda del Bingo. Qui le diverse cordate - poiché il centro-sinistra si divide in cordate non soltanto quando bisogna votare, ma anche nel Bingo - hanno investito moltissimo. I dalemiani, ma anche e soprattutto i veltroniani, hanno investito molto. Purtroppo, come gli capita anche nelle elezioni, gli capita anche nei giochi: hanno preso una batosta. Chissà se i vecchi compagni sapevano che le loro sezioni investivano nel Bingo. Probabilmente no. ...

Ma soprattutto bisogna ricordarsi una cosa: bisogna andare a Napoli, bisogna parlare con i magistrati, i pubblici Ministeri di Napoli che vi dicono che ormai le slot machine garantiscono alla Camorra dei guadagni maggiori di quelli della droga. Una macchinetta riesce a portare nelle casse della camorra fino a 15 mila euro al giorno, in base ai calcoli e alle stime che sono state fatte dai pubblici Ministeri napoletani. Mi sembra evidente che lo Stato non può più puntare su questo tipo di divertimento, portare in cassa 4 soldi, portarne nelle casse dei privati molti di più e non si capisce perché si facciano questi regali allora ai privati. Lo Stato non deve avere il ruolo del biscazziere ma deve cercare invece di aiutare in altro modo le persone che sono in difficoltà. Oggi siamo all'inizio di gennaio, abbiamo tempo 9 mesi per cercare di far sentire ai politici, ma anche ai magistrati della Corte dei Conti, che non devono decidere secondo l'opinione pubblica, ma non devono neanche ascoltare troppo la voce potentissima delle società concessionarie delle slot machine, la gente, l'opinione pubblica deve adesso far sentire la sua voce.
Solo sommergendo di messaggi i siti, si riuscirà ad arrivare almeno a una decisione che poi ci lasci sereni, noi non possiamo lasciare a queste società 98 miliardi di euro che se anche non arrivasse per intero nelle casse pubbliche, comunque garantirebbe di ridurre i nostri sacrifici. Con quei 98 miliardi di euro proviamo tutti insieme a immaginare cosa si potrebbe fare? 

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